Ricordo che quando il Maggie Contest è stato lanciato sul sito del FashionCamp ero a casa in infortunio per un incidente stradale: col collarino rigido, una sindrome vertiginosa insopportabile e il cranio dolorante (non so se per i troppi pensieri o per l’urto) mi sono messa davanti al portatile per provare a partorire qualcosa di decente da inviare alla giuria.
Quando poi ho saputo di essere tra le sette finaliste, quasi non mi pareva vero.
Lo ammetto: per ottenere voti non ho sempre giocato pulito. Sui social ho lanciato stregonerie e artifici, minacciando pestilenze e maledizioni (“Chi non vota la Torresani entro domani dovrà fare i conti con afflizioni da scroto pendulo o ipertrofia del clitoride”, cose così).
Nonostante questo però, soprattutto sul finire della competizione, avevo perso ogni speranza e stavo indirizzando la mia sete di cambiamento verso altri altrove.
Quando invece dall’agenzia mi hanno telefonato per comunicarmi la vittoria sono caduta dalla sedia: io, Miss Beata Ignoranza, ero la Maggie prescelta?! Io, così linguacciuta e colorita sarei stata chiamata a raccontare le donne per conto di un brand così sobriamente elegante?
Proprio non si può mai dire.
Tra l’altro, dall’alto del mio scetticismo snob, mi tocca pure ammettere pubblicamente che la moda allora non ci avvelena solo con sogni irraggiungibili, ma in certi casi è capace di regalare anche miraggi realizzabili, obiettivi succosi e contenuti di qualità.
Quella di Maggie è – a mio modesto parere – una campagna straordinaria, di cui spero di essere all’altezza.
E ancora una volta il Fashioncamp si è rivelato non solo un contenitore prezioso, ma un motore propulsivo che cresce ogni anno di più.
Io per ora mi muovo incredula e sbigottita in tutta quest’avventura, allenando dita, lingua e gangli per meritarmi le donne speciali che vi racconterò.
Fatemi un ‘in bocca al lupo’.