
“Credo che cinquecento anni fa una persona normale vedesse nella sua vita forse cinquecento immagini, cioè aveva un rapporto con cinquecento immagini. Noi, oggi, nell’arco di una sola giornata vediamo cinquecento immagini, se non di più”. Ho voluto aprire questa intervista con uno stralcio tratto dalle Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri. La citazione non è casuale perché il grande fotografo emiliano è da sempre fonte d’ispirazione per il nostro giovane artista, Stefano Paddeu.


Classe 1978. Di origini sarde. Stefano lavora tra l’Italia e la Spagna, suo paese adottivo. Sempre alla ricerca di una sua perfezione. Sempre pronto a cogliere l’attimo… unico… di quelli che Ghirri raccontava… Un’immagine tra le cinquecento che ci passano davanti: semplice, straordinaria.
Lo ha fatto anche qui, in questo editoriale presentato in esclusiva su FashionBlaBla… Fermare un momento per raccontare una storia… La storia certo… Di un’epoca, gli anni ’70. Di un sogno, quello di cambiare il mondo. Di un sentimento, la libertà. Di una gioventù, vibrante. I suoi Bohemian Kids sono così… Anticonformisti, romantici, idealisti, autenticamente rock… È lui a raccontarceli…



D – Ciao Stefano! Parlaci un po’ di te… Qual è il tuo background? Quali sono le tue pregresse esperienze?
R – Salve! Vediamo… Fin da piccolo mi sono sentito attratto dall’arte. La mia prima passione è stata la pittura, avevo otto anni. Successivamente sono stato stregato dalla fotografia, dal cinema e soprattutto dalla letteratura. Ero affascinato dall’idea di come un’emozione potesse essere messa per iscritto. Ho estremizzato, mi verrebbe da dire, questo interesse fino a laurearmi in letteratura russa. Ho amato l’arte futurista e rivoluzionaria slava e adorato artisti come Natalia Goncarova, Wassily Kandinskij e Kazimir Malevic e poeti quali Velimir Khlebnikov.
Da quel momento ho cominciato a crescere, ad evolvere sia in pittura che in fotografia fino a quando, a trent’anni, ho deciso di prendere in mano le redini della mia vita e darle una svolta facendo sì che una passione diventasse professione: ho studiato e mi sono diplomato in fotografia.
D – Quando e come nasce l’amore per la fotografia?
R – La colpevole di questo crimine? Una Kodak Instamatic.
A 10 anni ho scoperto questa macchina fotografica… Apparteneva ai miei genitori. Era come un robot dalla testa quadricefala che “immortalava” la gente. Mi affascinava il suo rumore, il rituale del rullino, vedere e capire ciò che con essa si poteva fare. Da allora non ho più smesso di osservare il mondo da un obiettivo 35mm. Prima i viaggi… Facevo, ricordo, una media dieci/dodici rullini riempiendo intere buste… Poi specializzandomi nell’urbanismo… E ancora, preso dal mio intrinseco francesismo, dedicandomi alla composizione bressoniana… Infine passando a un reportage sociale alla Doisneau.
Poco importava quale fosse il mezzo con cui fotografavo, se una compatta, una reflex, una usa e getta, allora dovevo sempre averne una con me… In fondo la macchina era solo uno strumento… Il vero fissatore del momento era, ed è, il mio occhio.
D – So che hai una passione per le orami “polverose” macchine fotografiche a rullino… Cosa te le fa preferire alle indubbiamente più tecnologie e funzionali fotocamere di ultima generazione?
R – In parte è puro attaccamento affettivo ma anche :
Pratica di Disciplina: imparare che non si devono sparare foto come da una mitragliatrice. Imparare ad avere un numero limitato di pose. Sapere che per la luce che finirá sul rullino non ci potrà essere un photoshop a recuperarla a meno che tu non l’abbia studiata prima.
Fascino dell’ignoto: non sapere cosa succederà alla foto… Che colori alla fine davvero usciranno fuori e con quali sfumature (spesso uso rullino scaduti addirittura nel 1974)… Trovo un immenso piacere a cercare di controllare ogni cosa con le mie mani durante la fase di sviluppo…
Il Bianco e Nero: ho provato a farmi piacere il bianco e nero di photoshop però continuo a preferire, ad essere sedotto dal bianco e nero di un ilford con il suo grano in evidenza.
D – In tre aggettivi, qual è lo stile di Stefano Paddeu?
R – Compositivo, narrativo, semplice.
D – Quale è stato il momento più difficile e quale il più gratificante nella tua giovane carriera?
R – Gli inizi sono stati certamente difficili… Quei momenti in cui ti dici: “Magari mi son sbagliato! Si stava meglio con uno stipendio fisso! Lasciamo che sia una passione!”.
Il più gratificante è stato invece quando una delle mie insegnati preferite, Lola, alla quale sono ancora affezionato, vide uno dei miei progetti per il quale, ricordo, ho trascorso un’intera settimana chiuso in laboratorio tra prodotti chimici vari… Mi disse che era stupefatta per la riuscita del lavoro, soprattutto perché, allora, ero uno studente del primo anno. Ancora lo conservo quel progetto…



D – Nella tua presentazione citi Doisneau, Bresson, Van der Rohe, Wright, Ghirri. A quale di questi grandi artisti ti senti più affine e perché?
R – Diciamo che in fotografia prendo principalmente spunto da 2 artisti: Ghirri e Bresson. Da Bresson, la spasmodica ricerca di una composizione perfetta. Da Ghirri, la capacità di raccontare una storia con una semplice immagine, apparentemente quotidiana.
D – Quando, invece, ti si avvicinato al mondo della moda?
R – Sono nato ad Alghero e da adolescente ho avuto la possibilità di avvicinarmi a parte delle prime collezioni di Antonio Marras. Ne rimasi affascinato. Mi stupì il fatto che da un tessuto tradizionale sardo potessero nascere sculture indossabili… Arte in movimento… Iniziai così a disegnare abiti che, sinceramente, in rare occasioni sono usciti fuori dalla carta se non per mia madre e per i miei primi shooting.
D – Cosa rappresenta la moda oggi e quanto, a parer tuo, moda e fotografia sono direttamente proporzionali l’una all’altra?
R – Per me, la moda oggi rappresenta un mezzo per esprimere se stessi. Pochi però sembra che la percepiscano come tale anzi penso che ultimamente venga utilizzata per standardizzarsi in gruppi e tribú urbane.
Moda è creatività portata su strada senza però dover essere eccessiva tale, cioè, da trasformarci in figure più simili a commedianti che a innovatori.
Fotografia e moda sono direttamente collegate. Moda è anche il personaggio che mette il suo carisma sulla scena. Il fotografo è il direttore d’arte, il narratore che fa sì che proprio questa moda abbia risalto, che l’eco suoni più forte attraverso il suo occhio… E` un contastorie con un rullino o un pixel che scrive la sua storia con la luce…
D – Cosa rappresenta la moda oggi e quanto, a parer tuo, moda e fotografia sono direttamente proporzionali l’una all’altra?
R – Per me, la moda oggi rappresenta un mezzo per esprimere se stessi. Pochi però sembra che la percepiscano come tale anzi penso che ultimamente venga utilizzata per standardizzarsi in gruppi e tribú urbane.
Moda è creatività portata su strada senza però dover essere eccessiva tale, cioè, da trasformarci in figure più simili a commedianti che a innovatori.
Fotografia e moda sono direttamente collegate. Moda è anche il personaggio che mette il suo carisma sulla scena. Il fotografo è il direttore d’arte, il narratore che fa sì che proprio questa moda abbia risalto, che l’eco suoni più forte attraverso il suo occhio… E` un contastorie con un rullino o un pixel che scrive la sua storia con la luce…
D – Il tuo obiettivo è quello – riporto – “di catturare, congelare, intrappolare un momento e renderlo eterno”… Come ci si può riuscire?
R – Per catturare, congelare e rendere eterno un momento si deve allenare la vista. Non basta guardare fuori. E’ necessario istruirsi, documentarsi con una logica di multidisciplinarità… Leggere libri e riviste, ascoltare musica, vedere film, studiare chi prima di noi è riuscito a immortalare dei momenti e come quei momenti sono stati immortalati. Fermarsi a guardare il mondo in un rettangolo 13×18. Stare attenti a capire come in un momento arriva l’attimo, quello che ci segnerà. Abituarsi a “vedere” in 35mm anche quando con noi non abbiamo la macchina fotografica. E’ un esercizio costante.



D – Oggi presenti – in esclusiva su FashionBlaBla – l’editoriale Just Bohemian Kids ispirato alla musica rock romantica degli anni ’70 e a personaggi leggendari come Jane Birkin, Patti Smith, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison… Raccontacelo!
R – Gli anni ’60 e ‘70 sono sempre stati presenti nella mia casa… Nei Beatles di mia madre. Nei Rolling Stones di mio padre. Negli album di fotografie dei miei che indossavano sombreros mexicanos e costumi ad uncinetto. Nei pantaloni da uomo usati dalla donna. La musica di quegli anni è sempre ricorrente nei miei artisti favoriti, come un fil rounge. La musica di quegli anni rappresenta il ricordo e il desiderio di libertà: assoluta, senza restrizioni… Quando un abito non era solo per una donna ma poteva essere preso e reinterpretato da un uomo. Quando una donna era romantica e insieme dura, di una dolce durezza.
L’input decisivo che mi ha spinto a questo omaggio è venuto un giorno mentre, ascoltando Velvet Underground, leggevo la biografia di Patti Smith. Proprio in quelle settimane, la mia amica stilista Eva Rodriguez mi aveva detto di avere un abito da sposa vintage di Victorio & Lucchino ed è da questa coincidenza di eventi è nata l’idea di un editoriale.
Si è poi deciso di ambientare il tutto in un appartamento modernista del ‘900 così da ricreare quell’atmosfera antica, carica, aristocratica tale da rompere con lo stile e con il racconto stesso.
Nel nostro immaginario, Eva Green e la storia amorosa/amichevole/ribelle di Dreamers…
D – Gli scatti ci trasportano dunque in una dimensione sospesa tra i giovani Dreamers di Bernardo Bertolucci e quei cattivi ragazzi che erano i Rolling Stones di Beggars banquet. Non manca un riferimento chiaro, un omaggio all’arte fotografica di Robert Mapplethorpe. Qual è il messaggio che hai inteso trasmettere e chi o cosa hai voluto rappresentare?
R – Libertà. Cocotrans… Combinare. Copiare. Trasformare. Reinventarsi e reinterpretare una collezione giocando con gli elementi che la compongono. Estrapolarli dalla loro collocazione originale per creare uno stile assolutamente unico. I protagonisti non sono solo meri manichini fatti di carne…
D – I tuoi compagni di viaggio in questa avventura?
R – Una buona foto di moda non appartiene mai solo al fotografo. E’ l’equipe a fare la differenza…
Eva ha capito esattamente l’idea che volevo rappresentare e grazie alle sue intuizioni, alle sue capacità, al suo styling è riuscita a dare quel tocco in più. Potrei dire che “surfavamo la stessa onda”. Ma l’abito in sé, si sa, non è tutto… Cristina Mairal, scultrice del capello più che semplice hairstylist, e Rosa Barranco, la nostra makeuper, sono riuscite ad imprimere la giusta forza ai personaggi. La complicità che si è creata tra Joseba, Laura e Sebastian ha permesso loro di giocare, divertirsi e trasformarsi in autentici personaggi degli anni ‘60/’70. Un circo, insomma, montato e perfettamente coordinato… Questo ha reso possibile Just Bohemian Kids… Grazie!
D – Progetti in cantiere?
R – Per il momento sto progettando un shooting fresco, estivo con alcuni nuovi stilisti di cibeles e modafad che ho avuto la possibilità di conoscere e un altro, invece, di pura narrazione e semplicità ispirato al classico cinema francese. Le idee si concretizzeranno poco a poco…. Preferisco non avere mai un copione troppo ristretto e rigoroso… Meglio un fluire di sensazioni ed emozioni che mi portano a creare.
Grazie infinite!

Credits
Fotografo: Stefano Paddeu (http://stefanopaddeu.com/)
Styling: Eva Rodriguez
Hair Style: Cristina Mairal
Make Up: Rosa Barranco
Models: Joseba Perez e Laura Ojeda di Uno Models (www.unobcn.com) / Sebastian Rosloniec di So Management (www.somanagement.eu)