Ho sempre amato moltissimo i pressday, forse anche più delle sfilate. Alle sfilate c’è il sogno, il momento clou di un lavoro estenuante, il brivido dello show.  Ma io ai pressday posso vedere e toccare abiti e accessori.

Posso fermarmi a capire il taglio di una giacca, osservare i ricami di un colletto, toccare ( si toccare, che per me è importantissimo), vedere da vicino quello che magari mi sono persa perchè ero in centodiciottesima fila e forse ho capito il mood generale, ma non certo come cade un abito. Che poi pensavo fosse in seta e invece è in suede ed è tutta un’altra cosa.

Ai pressday si incontrano persone, che spesso poi sono amiche e ci si conosce da anni. Spesso ci si abbraccia e si ride smangiucchiando qualcosa.

Ai pressday si danno delle facce agli account email. Ci si riconosce.  E si fanno due chiacchiere, ci si contestualizza.

L’atmosfera dei pressday è rilassata, nessuno ti corre dietro, non devi scapicollare da una parte all’altra della città in preda ad isteria da tabella di marcia, come durante la fashionweek.

I pressday stanno alle sfilate come slowfood sta ad una degustazione in piedi di nouvelle cuisine. Cambia il ritmo.

Sarà che sto invecchiando, ma non parlatemi di pressday digitali. Non rinuncio al lato umano del mio lavoro.