A volte spodestare il cattivo tiranno non si rivela una grande idea. E quello che è successo alla maison Dior ne è la prova. La cacciata in pompa magna di John Galliano non poteva che lasciare rovine ancora fumanti e da questa nebulosa ne è uscita una collezione “anonima” e non solo perché non si sa chi l’abbia firmata, sebbene Bill Gaytten ci metta la faccia nei saluti finali. “Lo staff Dior” precisa la casa moda, è il creatore di quella che passerà alla storia come la prima sfilata dell’uno d.G (dopo Galliano). Nessuna novità, nessun coup de thèatre, nessun Oh! Ah! Uh! in sala come il fu direttore artistico ci aveva abituato.
Grande eleganza, pulita, retrò, quasi come se Christian Dior in persona fosse apparso allo staff a dare direttive, ma solo per dieci secondi. E così ecco sfilare i must storici della maison con le gonne ampie strette in vita dalle cinturine, i colli ad anello, le mantelline, lemaniche al gomito.
Qualche tocco del nuovo millennio si avverte negli accostamenti contrastanti dei tessuti (lo chiffon rischiara mise che altrimenti sarebbero troppo austere) e nei decori con placchette colorate ad effetto intarsio. Finale con abiti da sera lunghi con trasparenze sexy che lasciano pochi commenti. Gli addicted del brand sono, purtroppo, ancora un gregge senza pastore, un popolo senza re, e la fede in Dior alla fine di questo défilé pareva essersi persa.