Style

Bambola fino a che punto?

Buongiorno, questa è Elina. Se vi sembra timida, è perché voi lo siete. Potreste guardarla meglio. Elina tecnicamente è ancora una bambola: vestibile, pettinabile, posabile e però con le proporzioni reali di una donna minuta. Al tempo stesso non è più una bambola: sconfina nell’arte, nell’eros, nel mondo ideale di chi l’ha creata (Doll Story, Tokyo) e di chi interagisce con lei, che sia il suo prossimo proprietario o il visitatore di Angélique DeVil a Milano, dove Elina sosta fino al 31 maggio.

Elina si lascia ammirare. Come le fashion dolls sempre più hanno fisionomie multietniche (v. le Barbie recenti, ma ancora più le fashion dolls tipo Fashion Royalty), anche Elina. Anche se pensata e prodotta in Giappone, non è esageratamente asiatica nei lineamenti. La sua bellezza è anzi un delicato mix di tratti esotici e caucasici. Sono i capelli – la parrucca – ad influenzare molto la caratterizzazione.

 

Elina si lascia plasmare. Nel senso che è tutta personalizzabile e, come accade con ogni vera bambola One-Of-A-Kind, si possono scegliere la carnagione e le forme e variare il volto, il trucco, il colore degli occhi, addirittura  la lunghezza delle unghie. Parrucca, vestiti, accessori vengono scelti a parte. Alta m1,57, pesante 27 Kg, indossa una taglia petite (i.e. small), tranne forse sul seno che è rigoglioso. Chi compra una bambola come Elina, stanziando una cifra nell’ordine dei 6.000 euro, ne è anche un po’ il creatore. Che strano potere!

Elina si lascia toccare. Al tatto la sua pelle impeccabile è morbida e soda in punti diversi – grazie alla densità differenziata del silicone. Morbida quindi sul seno, soda nelle gambe, più tremula nelle dita sottili con unghie smaltabili. Si lascia anche lavare, con acqua e sapone. E benché i comunicati stampa siano volutamente elusivi su questo dettaglio, Elina è anatomically correct. Provvista di genitalia – solo esterni oppure completi, inclusi nel kit – assolve ai suoi compiti di sex doll. Tuttavia non è intesa primariamente per questo scopo. Sorpresi?

 

Sta di fatto che per una precisa e meditata scelta di marketing il distributore europeo posiziona le bambole come Elina nell’universo dei collectibles: preziose follie da collezionare e fotografare. Oggetti d’arte e di contemplazione. Essere un oggetto d’arte spoglia Elina di implicazioni morali? Forse. Sposta comunque ogni valutazione su un altro piano.

Mi è già capitato come blogger di riflettere sul ruolo di queste bambole iperreali e su chi le sceglie come compagne. C’è anche chi, come Elena Dorfman e Laurie Simmons, ha lavorato su questo soggetto con la mente sgombra da pregiudizi e con risultati suggestivi. Perché non approfondire?

Daniela Ferrando

 {jcomments on}

Copywriter & consultant, anomala collezionista di fashion dolls.Non accumulo bambole, ma cerco e promuovo segni della loro presenza nella moda, nella creatività, nelle sensitive issues del nostro tempo.

Write a comment