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Metti una sera a cena

 

Antonio Lupetti

Metti una sera a cena con miss Svezia. Ajna Bar, 25 Little West, 12th Street, New York. Parliamoci chiaro, ti capita una volta nella vita e difficilmente te lo scordi.
Ho conosciuto Kim durante un breve soggiorno nella big city. Originaria di Stoccolma, amica di amici. Incontro combinato per la gioia del sottoscritto. Roba da restarci secchi al primo sguardo.
Passiamo un pomeriggio a Central Park. Un milione di chilometri a piedi su e giù per approfondire la nostra conoscenza. Lei mostra palpabile interesse. Io sbavo per lei dal primo secondo che l’ho vista. Lei propone un’uscita a due. Io fingo scarso coinvolgimento  mostrandomi possibilista. Lei insiste e chiede se mi piace il sushi. A me il sushi fa schifo ma dico che lo adoro. Lei dice ti voglio portare in un posto meraviglioso. Io faccio torbidi pensieri e realizzo che ho l’hotel a due passi. Lei chiede se alle nove per cena va bene. Io mi immagino già il dopo e dico che è perfetto.
Alloggio al Paramount Hotel, dietro Times Square, nei pressi di Broadway. Il programma prevede cena e dopocena con una biondona svedese da urlo. Per l’occasione vesto casual, molto chic. Rischio il coma etilico spruzzandomi addosso una boccetta di profumo di Yves Saint Laurent, La Nuit de l’Homme. Ho scoperto che scatena gli ormoni delle donne peggio di una borsa di Jimmy Choo.


Fermo un taxi. Il tassista è un nero di Brooklyn, stranamente simpatico e con tanta voglia di parlare delle sue faccende familiari. Mi scarica poco dopo di fronte alla facciata poco invitante di un anonimo palazzo che assomiglia ad un magazzino. Dodici dollari per la corsa. Prezzo amico per il fratello bianco. Dico grazie, mollo la mancia e se ne va.
Kim arriva qualche minuto più tardi. Vestitino nero avvitato Moschino, lungo fino a metà coscia, scollatura da brivido, lieve scia di profumo non identificato che innalza pericolosamente i miei livelli di testosterone, trucco leggero e gran sorriso stampato in faccia. Nel complesso da spezzare il fiato.
Tengo a dirvi che questo genere di cene sono una tortura. Voi donne la tirate alla lunga, volete sedurre ed essere sedotte. Noi uomini, in tutta sincerità, preferiremmo di gran lunga portarvi a letto per direttissima e risparmiarci quell’inutile formalità.
L’Ajna Bar è uno dei posti più cool di New York. A dispetto dell’esterno, l’interno del locale è un misto di stile ed eleganza. Tavolo per due, luce soffusa, musica chillout in sottofondo. Io e Kim parliamo amorevolmente mentre lei si gusta un vassoio di sushi lungo quanto un vagone di un treno merci. Continua a ripetere che il pesce è buonissimo. Io l’assecondo, tocco due chicchi di riso in bianco e ho già voglia di vomitare.
La cena prende subito una piega positiva. Dò il meglio di me. Stabilisco un intimo monologo tra i miei occhi e il suo decolté.
Ve lo dico onestamente. Voi donne non dovreste mai venire conciate in quel modo al primo appuntamento. Ogni minimo centimetro di pelle a vista dal vostro collo in giù, combinato con un Wonderbra, distoglie inevitabilmente l’attenzione di un uomo dal vostro viso. Semplicemente non fatelo. In fondo anche i vostri occhi meritano.
Due ore dopo, io e Kim siamo ancora inchiodati a quel tavolo e comincio a non poterne più. Lei con una chiacchiera irrefrenabile. Io con un’erezione indomabile che dura dall’inizio della serata.
Arriva il conto. Per un attimo lo scambio per una rata del mutuo.    Striscio la carta, scambio sorrisi di circostanza con una tipa alla cassa che sembra uscita dal Moulin Rouge. Ho una fame nera. Non ho toccato niente. A mezzanotte meno venti io e Kim siamo fuori dal ristorante. Ostento sicurezza. Sparo a colpo sicuro. Dico mi accompagni in hotel? Lei sorride, io sorrido, dice certo che sì. La prendo sotto braccio e penso che è fatta.
Il dramma si sfiora davanti al mio hotel. Esco dal taxi. Lei rimane dentro. Io chiedo che fai non esci? Lei dice candidamente scusa è tardi, devo andare a casa. Io non capisco. Io le chiedo spiegazioni su quel cambio di programma. Lei chiede di quale programma sto parlando. Un fulmine mi paralizza. Provo a spiegarmi e lei non afferra. Mi spiego meglio e allora capisce. Seguono sessanta secondi chiarificatori.
Dice scusa io sono fidanzata. Penso e-quando-cazzo-me-lo-dici! Mi trattengo e dico ah, non lo sapevo. Il mi accompagni in hotel è stato inteso come prendiamo un solo taxi così dividiamo le spese di trasporto.
Il tassista mostra insofferenza. Chiudo lo sportello, abbozzo una smorfia che non assomiglia a niente, saluto con la mano Kim che ricambia da dentro con un lieve sorriso. Spero passi il resto della nottata con la testa nel cesso a vomitare tutto il sushi che si è ingoiata. Il taxi riparte e sparisce nel traffico notturno.
Duecentosedici dollari per due chicchi di riso e neanche un bacio sulla guancia. A dimostrazione del fatto che quando una donna vi invita a cena, non significa che ci sta. Ha solo fame.

Antonio Lupetti
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Italian fashion journalist. Blogger @fashionblabla. Founder of #fashioncamp.

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