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L’Assassinio di Coco -ultimo capitolo-

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Capitolo 7

Fred Donzet sapeva che un’informazione vale in relazione all’attendibilità della fonte, ma anche alle circostanze temporali in cui viene rivelata.
L’informazione riguardo alla scatola da scarpe avvolta in un giornale e legata con uno spago che Lucien Allard aveva dimenticato, o aveva finto di dimenticare, sotto il tavolino dl ristorante ‘Au Clair de Lune’ e che un giovane uomo aveva preso e portato fino alla soffitta dove abitava, aveva scarso valore quando l’aveva raccolta.

L’arresto di Lucien Allard cambiava le carte in tavola. Si diceva avesse fatto l’armiere per la Resistenza. In quella primavera del ’43 un gruppo di partigiani parigini avevano lanciato un’offensiva denominata « À chacun son Boche » che invitava la popolazione ad armarsi e tre giorni prima due ufficiali della Wermacht erano stati sparati al tavolo di un bistrot. Fred pensò che in quel momento la sua informazione aveva raggiunto il valore necessario per realizzare del denaro. Attraversò la strada ed entrò nel portone degli uffici della Kriminal Polizei a passo svelto, incrociando sul portone Hans Gunther von Dinklage che ne usciva.

A Hans Gunther von Dinklage non piaceva frequentare gli uffici della Gestapo, a maggior ragione per ottenere un favore.
“Voglio che fai uscire di prigione la mia amica. La porterò con me a Madrid.”, gli aveva detto Coco.
“Perché questo capriccio, questa impuntatura, Signorina? Vera Baie giocava a fare la Resistenza, è colpa sua. Perché dobbiamo impegnarci per farla liberare?”
“Diciamo che è una chiave, o una prova. Per comprare o vendere fiducia, come hai detto tu, Passerotto.”
Vera sarebbe stata rilasciata e avrebbe avuto un salvacondotto. L’intervento di Kutschmann era stato decisivo. Coco sarebbe stata contenta, pensò Hans, e si sarebbe divertita all’Opera. Era stata la regina della vita mondana di Parigi, prima dell’occupazione, ma da tempo aveva rarefatto le sue uscite. Comunque, si consolò Hans, alla Signorina piaceva la musica.

Gabrielle teneva gli occhi fissi sul programma della serata, che prevedeva una selezione di diversi compositori, cercando di trattenersi dal passeggiare nervosamente. Era arrivata presto e ora stazionava davanti alle porte d’ingresso. Aspettava da un’ora. Aspettava che Coco Chanel scendesse da una Mercedes Berlina a fianco del suo lurido amante tedesco e che salisse la scalinata. Verso di lei. Aspettava anche Marcel, che avrebbe dovuto materializzarsi vicino a lei quando avesse messo in testa il cappello, il segnale convenuto.

Hans le aprì la porta e Coco scese dalla vettura. Lui la prese sottobraccio e iniziarono a salire lo scalone dell’Opera. Ormai mancava poco all’inizio e molti si affrettavano verso l’ingresso principale dove si stava formando un piccolo assembramento.   Coco guardava davanti a sé, fiera, eppure sembrava non vedere nessuno.

Gabrielle si spostò di qualche metro, per essere certa di trovarsi di fronte al suo bersaglio. Si mise il cappello e aspettò.

Coco superò l’ultimo gradino e si fermò di botto. Davanti a lei c’era una giovane donna. Indossava La Petite Robe Noir, il suo capo più famoso. Aveva scelto tre diverse collane lunghe e colorate della sua collezione di bigiotteria. La borsa era uno dei suoi modelli con il tessuto di trapunta. Sulla testa sventolava spavaldo il suo Chapeau Cloche. Rivide una copia di sé stessa giovane, quando cantava per gli ufficiali in un cafè-concert “Qui est qu’a vu Coco dans l’Trocadéro ? ”.

Gabrielle era certa che Coco si sarebbe fermata a guardarla. Indossava solo creazioni di lei. Si era stretta una fascia attorno ai seni per rimpicciolirli e assomigliarle il più possibile. Coco era stata il suo idolo. L’aveva adorata insieme a tutto quello che creava. Adesso era il bersaglio del suo odio e della Boyer 6,35 che armava la mano di Marcel.
Lui avrebbe sparato a Coco seminascosto dietro di lei.
La fiamma e il rumore dello sparo sarebbero stati mascherati e coperti dalla borsa in tessuto a trapunta alla quale lui doveva appoggiare il foro d’uscita della canna della pistola. Dopo aver premuto il grilletto lui avrebbe lasciato cadere l’arma. Gabrielle avrebbe fatto finta di svenire e lui l’avrebbe sorretta con entrambe le braccia, mostrando di essere disarmato. Nella confusione che sarebbe seguita, speravano di cavarsela.
Questo era il piano.

Lo sguardo che si scambiarono le due donne non durò più di due secondi. Per Gabrielle un’eternità. Gettò un’occhiata dietro di sé. Marcel non c’era. Non sarebbe venuto. Tornò a guardare Coco. Capì che aveva fallito.
Pensò che Coco Chanel non sarebbe morta per mano della Resistenza. Era stata il simbolo dell’eleganza francese ed era diventata il collaborazionista più famoso e sfrontato, la Regina di Parigi che dormiva al ‘Ritz’ abbracciata a un SS.
Ucciderla sarebbe stato un gesto eclatante per mostrare a tutti i francesi quale fine meritassero gli amici dei boches…poi pensò a Marcel. La sua assenza significava che era stato arrestato e se aveva con sé la pistola sarebbe stato torturato e ucciso…e poi pensò a sé stessa e si sentì sola come non era mai stata, abbandonata…

Coco vide la sua giovane imitatrice scoppiare a piangere. Perché piangeva la ragazza travestita da Coco?
Il dolore le distorceva il viso e le lacrime scioglievano il trucco leggero. Non era bello.
Hans la sospinse avanti e lei passò a fianco di Gabrielle senza più guardarla.
Probabilmente piangeva per un uomo, per un fidanzato che l’aveva lasciata, pensò, ma essere abbandonata da un uomo, fuggito o morto, era una sofferenza che Coco conosceva bene.
Strano, però, che quel pianto fosse scoppiato così improvvisamente, davanti a lei e senza nessuna ragione precisa.

 

Marco Vajani-riproduzione vietata

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