Lo yoga è diventato per me un buon amico. E’ qualcosa che mi fa stare molto bene, molto meglio con me stessa e con gli altri.
Ho sempre pensato che ” ci vuole un fisico bestiale” e non soltanto perchè voglio sentirmi più bella, quant per reggere al ritmo di stress e fatica che il mio quotidiano mi impone. Sono una libera professionista, devo stare bene per poter lavorare e lavoro meglio se riesco a dedicarmi degli spazi in cui allenare corpo e mente a reggere gli urti. Inoltre ho due figli piccoli, la mia famiglia è lontana e mio marito spesso non c’è. Semplicemente curare il mio fisico è per me fondamentale. Ho sempre fatto un sacco di sport, ma la grande scoperta dello yoga è stata che mentre le mie gambe diventano più salde, le spalle si allargano e il punto vita smette di essere un problema, anche la testa, il modo di pensare cambia.
Una delle prime cose che ho sperimentato è che la pratica aumenta l’indulgenza verso se stessi. Si impara a volersi più bene e ad ascoltare i propri desideri. Forte di questa nuova consapevolezza, in un assolato sabato di ottobre ho lasciato marito e figli a casa e sono partita per due giorni per il mio primo Yoga Retreat.
Non sapevo bene cosa aspettarmi e inoltre non amo certi assolutismi dello yoga. Per me lo yoga ha un twist pop. Vuol dire leggerezza e benessere, che non è che non voglio faticare, ma sempre con un’attitude gioiosa che non me lo faccia percepire come un lavoro.
Siamo arrivate qui, all’Anuttara Yoga Retreat Center, un luogo estremamentre calmo e silenzioso, immerso nella natura.
Come è stato? Camere minimali, pasti vegetariani, e tanta tantissima pratica.
Ecco, per me che al massimo avevo praticato per un paio d’ore ritrovarmi in una full immersion di quasi sei ore, mi ha spaccata. Ma allo stesso tempo è stata una prova rigenerante. Ho avuto modo di affrontare i miei limiti ( giuro che dopo la seconda ora del pomeriggio pensavo che sarei stramazzata al suolo in shavasana e lì sarei rimasta).
I miei compagni di avventura erano molto più avanti di me, alcuni abituati a retreat in India, di sicuro con una pratica fluida e quotidiana. Ma nonostante la difficoltà oggettiva che ho sperimentato nelle posizioni capovolte, mi sono sentita benissimo. C’era un’energia molto forte, un bel senso di comunità e quei doloretti fisici da acido lattico che sperimenti quando forzi un po’, ma che mi hanno fatto sentire viva. Il nostro maestro, Gabriele Bonucci, ha un’infaticabile energia ed è stato davvero molto concentrato sulle nostre richieste di miglioramento. La sua pratica è decisamente energica, maschile direi, per me molto costruttiva.
Per quanto riguarda la struttura ho trovato accattivante il design pulito e minimale delle camere, mi è piaciuta molto la posizione della struttura, incastonata sulle colline del bergamasco, purtroppo però non c’era il bagno in camera, ma dovevamo salire al piano superiore dove si trovavano un bagno maschile e uno femminile, decisamente pochini. Idem per le docce, una grande e condivisa utilizzata dai ragazzi, molto design, ma poco funzionale e una per le ragazze. Considerando che eravamo 18, questa parte è stata decisamente poco piacevole.
Ho avuto qualche difficoltà con il cibo, non sono abituata a praticare a stomaco vuoto e al mattino letteralmente non avevo l’energia per fare nulla [chi mi segue su IG Stories ha visto il mio sclero quando non mi davano da mangiare]. Per quanto riguarda il cibo, ho trovato l’offerta poco creativa: insalate in busta assemblate, fagioli, zucchine, una zuppa di piselli e un risotto bianco non hanno soddisfatto le mie aspettative. E’ vero che non si va ad un retreat per mangiare, ma mi aspettavo un’attenzione diversa alla provenienza delle materie prime [e al loro assemblaggio]
Comunque ho scollinato questa prima esperienza e ormai non mi ferma più nessuno.
Sto già meditando sulla la mia prossima mèta.